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15 marzo 2014

“Alle Tre Ranocchie di Sandro e Leonardo”

Accadeva in pieno Rinascimento, quando i due massimi esponenti, amici del cuore, decisero di diventare soci e aprire assieme una taverna : “Alle Tre Ranocchie di Sandro e Leonardo”.
L’informazione sulle pietanze fornite al cliente era talmente importante da spingere Sandro Botticelli a raffigurare i piatti preparati sui menu scritti nell’incomprensibile grafia da destra a sinistra di Leonardo da Vinci.
                                                                
Leonardo da Vinci
Sandro Botticelli
I piatti che andavano per la maggiore erano capretto bollito, carciofi, rognone di agnello, ranocchie fritte (specialità della casa), cetrioli, carote.
L’iniziativa non ebbe successo, forse perché troppo all’avanguardia e i due “osti” tornarono alle loro genialità più riconosciute in quel periodo.
                                                                       
                                                                                  

Per “Leonardo da Vinci” non si trattava della prima esperienza nel settore.
A vent’anni, infatti, aveva lavorato come cameriere “Alle Tre Lumache”, un’osteria nei pressi di Ponte Vecchio, dove al posto delle attuali oreficerie, c’erano le botteghe dei macellai facilitati nel poter gettare gli scarti direttamente dentro l’Arno.
Alcuni testi riportano che l’improvvisa morte di alcuni cuochi indusse il proprietario a promuovere il Genio cosmico da cameriere a capocuoco.
Mai occasione fu più propizia per Leonardo per cercare di “civilizzare” le pietanze servite, riducendone le porzioni da servire e disponendole in maniera coreografica sul piatto.
In pratica, inventò (incompreso) la “nouvelle cuisine”.
                                                                           

                                                                              
Ma il malcontento della clientela per le porzioni ridotte, abituata quando poteva alle abbuffate, fu tale da costringerlo a cambiare attività.
La raffinatezza e il buon gusto di Leonardo anche per la tavola, però non sfuggirono agli Sforza che lo vollero a corte per curare regia e allestimento dei banchetti.
Ed è proprio nelle cucine del castello sforzesco che Leonardo pensò bene di fare ricorso alla tecnologia per migliorare la preparazione delle pietanze e facilitare la vita del personale.
Studiò un modo per rendere costante la fonte di calore per cucinare, inventò macchinari per pelare, triturare e affettare i vari ingredienti.
Inventò la forchetta, studiò il modo di mandar via i cattivi odori e il fumo.
Costruì un apparecchio per automatizzare l'arrosto, ma anche oggetti ancora oggi indispensabili in cucina come il cavatappi, l’affettatrice e il trita-aglio.
                                                                      

Il successo non fu scontato per niente, perché i macchinari crearono soggezione fra gli invitati e “il direttore di sala” Leonardo fu dispensato da quell’incarico.
                                                                             

Secondo una scuola di pensiero, Leonardo avrebbe anche messo nero su bianco alcune annotazioni culinarie che sarebbero contenute nel “Codex Romanoff” ritrovato (sembra) in Russia nel 1865.
L’esistenza di questo manoscritto e soprattutto la sua originalità è tuttavia messa in dubbio da molti.
                                                                             


E così per gli appassionati di Leonardo, oltre a quello della Gioconda si apre un altro enigma: quello delle ricette e del codice di comportamento a tavola.
E.F.

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